Onorevoli Colleghi! - «Vicende recenti del calcio italiano manifestano l'urgenza di una sua rigenerazione morale, economica e organizzativa»: con queste parole, nel luglio 2004, l'allora Presidente della Repubblica Ciampi si rivolgeva ai nostri olimpionici nel corso dell'apertura dei giochi di Atene. Quelle parole di ieri, quasi profetiche, oggi assumono un valore e un peso ancora più importanti alla luce dello scandalo che sta sconvolgendo il mondo del calcio proprio alla vigilia dei Campionati mondiali in Germania. Lungi da stabilire le diverse responsabilità e da anticipare le sentenze che la giustizia ordinaria e sportiva emetteranno, resta il dubbio se tutto questo poteva essere evitato, o, meglio, se all'origine di tale degenerazione vi sia stato un errore di fondo, di impostazione, nel mondo del calcio. Evidentemente il bisogno di rigenerazione evidenziato dall'allora Presidente delle Repubblica Ciampi è legato alla constatazione che in questi anni le società di calcio hanno subìto una drastica trasformazione passando da società in cui lo scopo sociale era logicamente la promozione dei propri colori e della cultura sportiva, a vere e proprie società di capitali in cui il profitto è diventato quasi più importante dei tre punti domenicali e in cui si è più attenti alle oscillazioni del titolo in Borsa piuttosto che alle prestazioni della squadra.
      Serie A, Champions League, zona UEFA significano maggiori diritti televisivi, contratti con gli sponsor più vantaggiosi, premi UEFA a scalare, eccetera; di converso, significano allestire squadre sempre più competitive e quindi ingaggi di giocatori sempre più onerosi. Un circolo vizioso che ha portato a una profonda crisi economica dei club, con plusvalenze fasulle e bilanci «taroccati», nonché ai dissesti finanziari che tutti conosciamo. Ad avviso del proponente, tale degenerazione ha avuto origine con l'entrata in vigore della

 

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legge 23 marzo 1981, n. 91, che regola il professionismo sportivo ed in base alla quale le società di calcio dalla serie A fino alla serie C2, devono essere costituite in forma di società di capitali, ovvero società costituite sotto forma di società per azioni o società a responsabilità limitata. Questa legge ha generato, in realtà, una gestione delle società, in particolare del settore calcio, senza un efficace controllo con le conseguenze che sono sotto i nostri occhi. Con l'introduzione di fatto del fine di lucro e della possibilità di quotarsi in Borsa, le società sportive di calcio hanno abbandonato la loro «mission», molte di loro sono scomparse, altre hanno perso il titolo e i trofei ricominciando dalle serie cadette, altre ancora si sono salvate grazie all'intervento dello Stato (decreto «spalmadebiti») o a alle pieghe di leggi dimenticate (il c.d. «concordato Lazio»).
      Questa situazione non è tollerabile oltremodo se consideriamo che le società di calcio operano non in solitudine, ma in un sistema in cui la regolarità dei campionati è fondamentale, sia per le conseguenze interne (classifiche falsate, titoli non validi, retrocessioni e promozioni fatte per decreto, eccetera) ed esterne (perdita di interesse per il campionato, danno erariale per i giochi connessi al calcio, eccetera), per non tacere della delusione e dello sconforto in cui sono stati gettati migliaia di appassionati della sfera di cuoio.
      Appare pertanto opportuno un ritorno alle origini o per lo meno una modifica delle distorsioni provocate dalla legge in questione ed è questo l'oggetto della presente proposta di legge. In particolare si ritiene opportuno introdurre, per le società sportive, il vincolo di destinazione degli utili conseguiti esclusivamente al perseguimento dell'attività sportiva e che la metà di tali utili sia destinata ai loro settori giovanili. Consideriamo, inoltre, alcuni dati oggettivi: delle tre società calcistiche quotate in Borsa, il titolo Juventus ha perso il 46 per cento in Borsa dall'inizio dello scandalo, mandando in fumo circa 180 milioni di euro e ha ceduto il 54 per cento del valore del titolo dal momento del collocamento a Piazza Affari; il titolo Lazio, quotato sin dal 1998, ha ceduto il 98 per cento del suo valore originario; quello della Roma, quotato nel 2000, ha perso oltre l'85 per cento. Questi dati sono eloquenti e indicano la necessità di evitare nel futuro perdite di denaro per i piccoli risparmiatori, per lo più tifosi della propria squadra. Ecco allora, la ratio dell'introduzione del divieto per le società sportive, costituite in società per azioni, di richiedere l'ammissione dei propri titoli alla quotazione ufficiale della Borsa valori, indipendentemente dal possesso dei requisiti stabiliti dalla legge per accedere a tale mercato. Nel contempo, si ritiene necessario ripristinare la capacità delle federazioni, nel caso del calcio, della Federazione italiana gioco calcio - FIGC, di promuovere direttamente dinanzi al tribunale la messa in liquidazione della società in difficoltà, in deroga all'artico 2409 del codice civile (a seguito dell'entrata in vigore del decreto-legge n. 485 del 1996, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 586 del 1996, che ha di fatto introdotto il fine di lucro e la possibilità per le società di calcio di quotarsi in Borsa, la FIGC si limitava a richiedere l'intervento dell'autorità giudiziaria). Infine si crede opportuno modificare l'articolo 3 della legge n. 91 del 1981, riguardante la prestazione dell'atleta. I significativi emolumenti percepiti da un calciatore, ed in misura molto minore da un giocatore di basket o di pallavolo, non possono configurare, evidentemente, un rapporto di lavoro di tipo subordinato. Fa sorridere il fatto che già un giocatore di media caratura che percepisce un ingaggio di 1-2 milioni di euro possa essere considerato lavoratore subordinato, figuriamoci i vari Totti, Toni, Del Piero, eccetera. Con la presente proposta di legge si intende modificare questa anomalia considerando il contratto dell'atleta esclusivamente come contratto di lavoro autonomo qualora l'importo degli emolumenti diretti e indiretti supera i 100.000 euro annui.
 

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